REAZIONI A CATENA
il panorama dei vari programmi atomici durante e dopo il Secondo conflitto mondiale è assai più complesso e variegato di quanto la narrativa ufficiale vorrebbe farci credere...
La storia dei programmi di ricerca e sviluppo delle prime armi nucleari, indipendentemente dal fatto che si trattasse di Paesi dell’Asse (Germania e Giappone in primis) o “Alleati” (Stati Uniti ma, incredibilmente, anche URSS) è costellata di vicende talmente misteriose e virtualmente sconosciute che il tentativo di tracciarne un quadro coerente risulta davvero un’impresa. Al riguardo, sin dai primi Numeri di NEXUS New Times va ricordato che pubblicammo alcuni articoli realmente ‘controversi’. Ad esempio su quello che potremmo considerare il nostro “Gronchi rosa” - l’ormai introvabile Numero 7 - ove parlammo del ‘Disastro di Port Chicago’ del 1944, evento che presentava alcuni aspetti insoliti e, almeno potenzialmente, “nucleari.1.
Tuttavia, uno degli articoli in assoluto più sconvolgenti - pubblicato in due parti sui Numeri 10 e 11 di NEXUS New Times - è sicuramente quello che si occupava dei “Diari del Maggiore Jordan”2, e si basava sugli appunti di George Racey Jordan, su cui peraltro quest’ultimo testimoniò di fronte al Congresso nel 1949. La parte dei Diari più interessante è sicuramente quella circa il suo servizio in qualità di ufficiale di collegamento nell’ambito delle operazioni “Affitti e Prestiti”3 inizialmente presso l’aeroporto di Newark, New Jersey, ma soprattutto nel 1944 presso Gore Field a Great Falls, Montana, ovvero l’ultima stazione di trasbordo aereo negli Stati Uniti verso l’Unione Sovietica, poiché in entrambe le località l’ufficiale si interfacciò principalmente con il colonnello Anatoli N. Kotikov dell’Armata Rossa. Ebbene, in estrema sintesi, durante tale servizio Jordan annotò la straordinaria quantità di rifornimenti e insoliti colli coperti da immunità diplomatica che transitavano da Great Falls, arrivando persino ad aprire diverse volte (senza autorizzazione) un gran numero di “valigie nere” sigillate e caricate a bordo di aerei diretti in Unione Sovietica, scoprendo così documentazione tecnica di natura nucleare (all’epoca non poteva capire di cosa si trattasse) e persino casse di Uranio e altro materiale sensibile. Tra le altre cose, scoprì fra i documenti riferimenti alle “Nazioni Unite” quando l’ONU ancora non esisteva, almeno ufficialmente4. Naturalmente, quando informò i suoi superiori in merito a tali ‘anomalie’, gli fu ripetutamente intimato di rimanere in silenzio. La sua testimonianza però a mio avviso scoperchia un vero e proprio vaso di Pandora nei riguardi di una certa narrativa storica, nonché sugli autentici retroscena geopolitici a livello planetario. A questo proposito, spendiamo qualche parola in merito al Progetto Manhattan, tramite cui secondo la vulgata corrente sarebbero state progettate e sviluppate le prime bombe atomiche della Storia...
Lo strano caso dell’Uranio mancante
“Verso la fine della Seconda guerra mondiale, l’America aveva bisogno di 50 kg di U-235 per raggiungere la massa critica necessaria a far detonare la sua bomba atomica. In un memorandum datato 28 dicembre 1944, Eric Jette, metallurgista capo a Los Alamos, scrisse: ‘Uno studio sulla fornitura di Uranio per uso militare negli ultimi tre mesi dimostra quanto segue...: Al ritmo attuale, avremo 10 kg verso il 7 febbraio e 15 kg verso il primo maggio’.
Nella migliore delle ipotesi, la bomba atomica dell’America avrebbe avuto soltanto poco più di metà dell’Uranio necessario per raggiungere la massa critica entro il 6 agosto 1945, il giorno in cui sarebbe stata sganciata su Hiroshima. La stessa esplosione si sarebbe potuta produrre usando solo un terzo del plutonio, ma l’unico uomo in grado di capire come far detonare il plutonio, John von Neumann, stava lavorando con un tipo di scienza diverso da quello dei discepoli di Einstein che avevano costruito le bombe nucleari americane. Avrebbe richiesto qualcosa che solo i tedeschi erano in grado di produrre.
In un’operazione capace di convincere il mondo che gli alleati avrebbero vinto la guerra, quando invece avevano ottenuto al massimo un pareggio, il premio di consolazione per l’impero anglo-americano fu portato sull’U-234 (sigla di immatricolazione di un U-Boot tedesco, un caso di cui ci occupammo nell’inserto italiano della testata parecchi anni fa, NdR) come parte di un accordo raggiunto con Martin Bormann, il braccio destro di Hitler. Tra i tesori a bordo dell’U-234 c’erano le spolette a infrarossi necessarie all’utilizzo delle speciali lenti esplosive progettate da von Neumann per comprimere e far detonare il nucleo di Plutonio della bomba successivamente sganciata su Nagasaki.”5
Nell’interessantissimo articolo pubblicato poi sul Numero 129, e da cui ho tratto il brano precedente, emerge chiaramente come alla fine del 1944 e dopo una spesa complessiva di circa due miliardi di dollari profusi in ricerca e sviluppo di bombe atomiche al Plutonio e all’Uranio, il Progetto Manhattan fosse in realtà in una fase a dir poco ‘critica’. Innanzitutto, c’erano significativi e apparentemente insormontabili problemi tecnici nella progettazione di una bomba al Plutonio, in quanto i detonatori all’epoca disponibili erano semplicemente troppo “lenti” per ottenere la compressione uniforme di un nucleo di Plutonio nel brevissimo arco di tempo necessario ad avviare la fissione nucleare incontrollata. Tale aspetto rendeva la bomba all’Uranio l’alternativa più prontamente realizzabile - come peraltro i tedeschi avevano scoperto anni prima - per l’acquisizione di un’arma funzionante entro l’arco temporale previsto del conflitto stesso, tuttavia la disponibilità di Uranio arricchito per il Progetto Manhattan era ben al di sotto della massa critica necessaria per una bomba di detto tipo. Due anni prima, Enrico Fermi era riuscito a realizzare il primo reattore atomico funzionante, e tale successo aveva indotto il progetto americano ad impegnarsi seriamente nello sviluppo e realizzazione di una bomba al Plutonio. Di conseguenza, parte dello scarso e prezioso Uranio arricchito 235 che usciva da Oak Ridge venne conferito ai reattori autofertilizzanti costruiti a Handford per l’arricchimento e trasmutazione in Plutonio, dato che a parità di peso una libbra di Plutonio consente di produrre più bombe di una libbra di Uranio.
In questa immagine del 1943, gli addetti stanno caricando l'uranio nel reattore di grafite X-10. Fonte: Wikicommons
Il problema, nel dicembre del 1944, fu che dopo aver perseguito entrambe le opzioni il generale Leslie Groves, responsabile del Progetto Manhattan, era sul punto di perdere entrambe le scommesse.
La situazione militare in cui versavano gli Alleati, tra la fine del 1944 e l’inizio del 1945, era tale per cui nonostante l’enorme successo militare convenzionale contro il Terzo Reich, gli alleati occidentali e la Russia sovietica avrebbero plausibilmente potuto ancora essere costretti ad un “pareggio” se la Germania avesse schierato e usato bombe atomiche in numero sufficiente ad influenzare la situazione politica degli alleati occidentali. Dunque come fece il Progetto Manhattan ad acquisire la quantità residua di Uranio 235 necessaria nei pochi mesi da marzo sino al lancio della bomba Little Boy su Hiroshima ad agosto, a soli cinque mesi di distanza? Come poté realizzare una simile impresa, se dopo circa tre anni di lavoro aveva prodotto appena meno della metà della quantità necessaria di uranio arricchito? Da dove giunse l’Uranio 235 che mancava?
Una ‘altamente probabile’ risposta sta nel misterioso caso di un U-Boot, l’U-234, catturato dagli americani nel 1945, un caso ben noto nella letteratura sulla bomba atomica nazista. E, naturalmente, la “narrativa” alleata è che nessuna parte del materiale a bordo dell’U-Boot sia mai giunto o abbia mai fatto parte del Progetto Manhattan. Tuttavia, niente potrebbe essere più lontano dalla verità.
L’U-234 era un U-Boot posamine molto grande, adattato come mercantile sottomarino per il trasporto di grandi carichi. Prendiamo inoltre in considerazione lo strano “manifesto di carico” dell’U-234:
(1) Due ufficiali giapponesi 6
(2) 80 bombole rivestite d’oro contenenti 560 chilogrammi di ossido di Uranio 7
(3) Diverse casse o barili di legno pieni di “acqua”
(4) Spolette di prossimità a infrarossi
(5) Il Dr. Heinz Schlicke, inventore delle spolette
Allorquando l’U-234 veniva caricato in Germania per il suo viaggio verso il Giappone, il suo radiotelegrafista, Wolfgang Hirschfeld, notò i due ufficiali giapponesi che scrivevano “U235” sulla carta che avvolgeva le bombole prima del loro caricamento nel sottomarino, un altro dettaglio estremamente significativo 8. L’utilizzo di cilindri rivestiti d’oro è spiegabile dal fatto che l’Uranio, metallo altamente corrosivo, viene facilmente contaminato se entra a contatto con altri elementi instabili. L’oro possiede proprietà schermanti pari al piombo, ma a differenza di quest’ultimo è altamente puro e stabile, ed è quindi l’elemento privilegiato per lo stoccaggio e trasporto di Uranio altamente arricchito e puro per lunghi periodi di tempo, come nel caso in oggetto.
Per farla breve, l’ossido di Uranio a bordo dell’U-234 era altamente arricchito e, molto probabilmente, si trattava di U-235 altamente arricchito, ovvero l’ultimo stadio prima d’essere utilizzabile per la fabbricazione di una bomba.
Il materiale a bordo dell’U-234 era talmente sensibile che il 16 giugno 1945, quando la Marina degli Stati Uniti preparò il proprio manifesto di carico per il sottomarino tedesco, l’ossido di Uranio era totalmente scomparso dall’elenco 9.
La resa dell'U 234, all'USS Sutton. Fonte: Wikicommons
Significativamente, a una settimana dalla divulgazione della versione della US Navy del manifesto di carico dell’U-234, la produzione di Uranio arricchito di Oak Ridge era praticamente raddoppiata10 . Questo di per sé è altamente sospetto, dal momento che ancora nel marzo del 1945 un senatore degli Stati Uniti era talmente preoccupato per il possibile fallimento del Progetto Manhattan da scrivere al Presidente Roosevelt un memorandum sull’argomento, e che come abbiamo visto il capo metallurgista del laboratorio di Los Alamos indicava come la quantità di U-235 fissile prodotta fosse molto inferiore al fabbisogno necessario al raggiungimento di una massa critica, e che tale insufficienza sarebbe rimasta invariata per molti mesi ancora. La conclusione, quindi, è semplice sebbene sconvolgente: l’Uranio mancante poi usato nel Progetto Manhattan era tedesco. E ciò significa che il progetto della bomba atomica della Germania nazista era molto più avanzato di quanto la narrativa alleata del dopoguerra vorrebbe farci credere. Naturalmente, resta da affrontare una questione di vitale importanza: perché Martin Bormann, il braccio destro di Hitler, avrebbe negoziato con gli USA la consegna di un carico così prezioso dal punto di vista tecnologico e strategico? Questo argomento è assai più complesso e ramificato di quanto si possa immaginare, e sarà sviluppato in un futuro articolo, che se da una parte vi sbalordirà dall’altra spiegherà molte cose e molti avvenimenti che abbiamo visto accadere dal secondo dopoguerra in avanti... ma vi lascio con un indizio: Operazione Paperclip.
Made in Japan
“Contrariamente all’opinione diffusa, gli Stati Uniti potrebbero aver saputo del Progetto Giapponese prima della fine della guerra, e questa informazione potrebbe avere influenzato la decisione del presidente Harry Truman di usare la bomba sul Giappone.” 11
Nel mio articolo precedente, ho divulgato una trascrizione relativa al primo - e per fortuna unico - test atomico giapponese, avvenuto presumibilmente il 12 agosto 1945 nei pressi di Konan, nel nord della Corea. Viene ovviamente da domandarsi come avesse fatto il Giappone, in difficoltà anche sotto il profilo della tecnologia bellica convenzionale, a riuscire nell’impresa di testare una bomba atomica della stessa resa approssimativa di quelle di Hiroshima e Nagasaki? Da dove arrivò l’Uranio arricchito per un’arma di questo genere? I giapponesi avevano collaudato la loro bomba solo tre giorni dopo la bomba al Plutonio “Fat Man” che aveva cancellato Nagasaki: non c’è da stupirsi se il Governo giapponese discusse se arrendersi o meno.
Il capo fisico coinvolto nel progetto giapponese era Yoshio Nishina, un “collega di Niels Bohr”12. Fu proprio Nishina a guidare la squadra dell’esercito giapponese che indagò su Hiroshima dopo il bombardamento di quella città13.
Un’immagine del fisico giapponese Yoshio Nishina. Fonte: Wikicommons
I resoconti del test giapponese a Konan furono una costante fonte di costernazione e mistificazione da parte delle unità di Intelligence americane nel Giappone occupato dopo la guerra, in quanto, a differenza dell’ossessione per il programma atomico tedesco, l’Intelligence Alleata aveva costantemente posizionato i giapponesi molto indietro, come se stessero conducendo soltanto studi teorici, e sostenendo che questi ultimi “non avevano né il talento né le risorse per realizzare una bomba.”14. Ma in realtà forse al Giappone potevano mancare le risorse, non certo fisici di talento che capissero la fisica delle bombe.